[Vai al menu principale (tasto m)] [Vai ai contenuti della pagina (tasto n)]
Il Circolo "Pablo Neruda" con in patrocinio dell'Assessorato alla Cultura Città di Pinerolo, organizza la 24a edizione del Premio Nazionale di Poesia "PABLO NERUDA" 2007.
Nell'immagine a lato: un momento dell'Edizione 2006 del Concorso Nazionale di Poesia.
Composizione giuria: Anna Apuzzo, Anna Formento, Anna Agrò, Grazia Calliero, Liliana Rasetti, Loriana Filippini, Marco Forneris, Paola Lazzini, Piero Tarditi, Renato Storero, Teresa Cesario. Coordinatrice del Premio: Katia Trombetta.
Non se ne andrà il mio tempo con il vento d'autunno, e per me ci sarà, di sobrie luci vestita, un'altra stagione… Avrò giorni da sfogliare con cura, come intense pagine di inedita poesia. Avrò ore da assaporare a fondo, come note struggenti di violini zigani. Avrò istanti da carezzare piano, come teneri petali di una rosa d'inverno: magia di una vita, tanto fragile, così tenace, da proteggere ancora…
Meridiano sole di marzo, acceso su chiara solitudine marina: sabbie a sbiadire, distese in friabili convesse levità minuscole dune sciorinate in schiere, forse orme tenui di onde ripiegate, placate all'alba per blandizie dolcissime di vento. E ombra io vi cammino verticale, taglio nero nella luce, passo vagante e calco greve - impronta di pensiero.
Tracce di cielo sul tuo viso color avorio solcano la tua fronte di un tenero autunno. Mani che toccano fragili fogli, dove una breve matita, colora di grigio caselle numerate. Ascolta il suono del tuo cuore e fa che la melodia attraversi dolci ricordi d'amore non ancora sopiti. Disegna con i tuoi occhi la mia estenuata anima e conforta le sue pieghe e distendile prima che arrivi la fine della Breve Stagione.
Or nella mente tornano i ricordi del tempo andato della mia infanzia, quando mia madre mi mostrava a dito i vividi colori del tramonto e, insieme, aspettavamo che spuntasse nel ciel la prima stella della sera. Al suo apparir, io m'immaginavo di fare intorno ad essa un girotondo con altri bimbi, fra sorrisi e canti. Fantasticando, poi, mi addormentavo sull'ala di una dolce ninna-nanna, che, con amor, mia madre modulava; ed era ancora l'armonia del canto che la mattina dopo mi svegliava. Nella terrazza attigua alla mia stanza, mia madre sul basilico versava, fitta, una pioggia di acqua salutare, correva poi ad aprirmi la finestra e mi mostrava nuvole vaganti nello splendor del cielo mattutino; “Guarda - diceva - il sorgere del sole! Ti fa sperare sempre nelle vita.” Io l'ascoltavo ed ero assai felice perché era ottimista e, come lei, son sempre fiducioso: mi serve a non mollare e in più per ravvivare la fiaccola dei sogni ai miei nipoti.
Stasera la luna danza sul mare. Leggera come una piuma senza fendere l'acqua lei danza sul mare. L'acqua s'increspa appena sotto il suo peso leggero e i suoi passi disegnano stelle sull'acqua. E lei danza, danza, e danza ancora. Poi si solleva sul cielo e va lontano lontano, in alto, e la sua danza finisce in una miriade di luci.
Rughe scavate dal tempo solcavano un volto intristito dall'abbandono, ed io, bimbo che affidavo i sogni agli aquiloni scomposti nel vento, ho mietuto un sorriso e l'ho donato al vecchio. Ragazzo ho peregrinato con i pensieri oltre il confine dei miei orizzonti progettando utopie per un futuro dorato. Adulto ho scalato monti resi ripidi dall'indifferenza fra schiamazzi assordanti e appelli seducenti. Solo ormai, come quel vecchio, smarrito nei ricordi, ripercorro con la mente le alchimie del passato. Sto aspettando un bimbo che mi regali un sorriso.
La mia patria è lontana, abbandonata nel tempo di guerra in fuga nella notte su un bragozzo per Pola e il mare scuro ci cullava amichevole, ignaro del livore intorno a noi. Ho i natali su un'isola, a mezza primavera salutata senza tornarvi più e solo nei frammenti della memoria rivivo quei giorni e mi sovviene il sapore mielato degli acini densi di sole, i fichi maturi reclini sul ramo e l'aroma di salvia e rosmarino. Era di maggio, quando mi han rubato il futuro possibile e la casa, la nonna che affacciata alla finestra mi sorrideva dolce, il giardinetto della magnolia dalle foglie lucide, la cisterna del tempo di Colombo e i pesci rossi nella vasca tonda. E' lontana nel tempo e nello spazio quest'isola, che torna alla mente quando accarezzo l'onda leggera e ripenso alla tenue trasparenza del mare che ho lasciato, alla ghiaia di lucido calcare levigato, alle reti approntate per la pesca. E vedo ancora, con gli occhi d'allora, i muri a secco e gli ulivi d'argento nutriti dall'argilla, e nei recinti pecore in cerca di un cibo povero. E vedo il mulo, che i giorni di festa ci portava alla chiesa, alla funzione, e mio padre, di scorta, sorvegliava. E poi non vedo più, perché si bagna di lacrime lo sguardo, e mi abbranca l'animo il desiderio del ritorno.
Nella valigia che più non viaggia ho riposto i ricordi più cari quando l'apro nei giorni di pioggia il mio cuore dà vita ai pensieri di notti passate a sognare fatine e diademi di stelle. Risento la mamma chiamare la sua voce è rimasta sospesa tra rami perenni di caduche foglie. Mi ritrovo bambina a giocare con la bambola vestita di tulle un nastro sbiadito raccoglie una ciocca dei biondi capelli. E la bocca: ancor non decido se trattiene stupore o il grido.
La terra rivoltata lentamente dal contadino, prima bianca di sole bruciante d'agosto, ora scura di rugiada penetrata silenziosa in notti senza voce, mi riporta a giochi antichi interrotti dal dolore di vivere. Chiaroscuro di una vita indecifrabile.
Dei dolci ciliegi ritorna la neve sul fosso d'aprile (l'acqua fra elastici steli serpeggia) e sarà fuoco di maggio. Seguitare il soffice ciglio vien bene se l'occhio (socchiuso nel sole) l'umile alga asseconda e il fiato di robusti guardiani ripete il tuo passo. E' pigro questo andare (senza riuscirvi) cercando rettilinee rotte di motori lontani. I nostri son campi di terra lucente (se l'aratro, a piccole onde, li fende) e non hanno tumulti di poggi e di vigne che scendono al mare. Al mare (già bronzei) neanche d'estate scendiamo chè ci voglion bestie alle stalle e spighe di grano. Ci vogliono - rugginose - le chiuse a dirigere l'acque più ghiacce (le ore preziose sono contate) e i fidati guardiani (quant'è vero Dio) li daremmo a nessuno. Son sangue del sangue più nostro e da sempre ubbidiscono al volo, gli costasse la morte. Pelosa e forte la gramigna (tenace) si perde chè ci fanno, furiosi, la guardia lungo il campo e alla casa e non dormono mai. Se ti fermi nell'ombra del salice in pianto a coda ritta s'arrestano e fiutano il vento. L'erba folta è più verde lungo il soffice ciglio. Furtiva ci passa, ogni notte, l'astuta Renard. Li accarezzi e nel sole (che fuori già abbaglia) cogli occhi abbracci tuo figlio.
Ricamo di pesco in fiore nel cielo azzurro trillo d'allodola sorriso di lago alpino canto di limpida fonte lacrime di rugiada odorosa nubi candide dal vento gonfiate e tosto scomparse. Sole gettato nell'infinito: Giovinezza.
Non raccontarti più la vecchia storia che ti fa solo male. Parla con me, stasera vieni a guardare il mare, la luna che si specchia nella pece del golfo e si diverte a guizzi, a ruote di faville, a cascate di pizzi. Alzi gli occhi e ti sembra stia sospesa a guardare - candida come un giglio - poi t'accorgi che è scesa, che si lascia cullare, si distende sull'onda si frantuma, s'increspa, è tutta un tremolio, partecipa alla festa. E' fremito lucente stasera, luna in barca con la gobba a ponente.
Passi che s'impigliano nelle fenditure del Tempo a rovesciare zolle sbriciolare sentieri inseguendo una scia nel soffio del niente. Selciati calpestati svelano crepe sui gradini dove dimorano giorni senza amore e altri veri come un minuto fatti come la notte abitati dal sogno e dal pianto felice che si muta in canto sempre che ci sia la forza per cantare. E dappertutto schegge che nel buio si stringono nella fiamma e nell'acqua delle infinite ore.
Tirando con l'arco, essere la freccia. Scoccando la freccia, essere l'arco. Nello spazio del sibilo divenire il bersaglio e mentre la punta della freccia si infigge tra gli atomi della materia fondersi con l'inquietudine densa del suolo. Nella radura divenire cielo. Camminando sul sentiero essere terra, scoprendo che in verità non c'è nessun luogo dove fermarsi né da cui partire, solo radure dove tendere un arco, scoccare una freccia per tentare di colpire un bersaglio che è dentro l'arciere.
| www.circolopabloneruda.it || - |XHTML 1.0 Strict| - |CSS| Privacy |